Che fine fanno le tombe vecchie? Tra oblio, riuso e memoria, scopri cosa accade ai sepolcri quando il tempo e i vivi smettono di ricordarli.
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Vi siete mai chiesti che fine fanno le tombe vecchie? Entrare in un cimitero non è mai un’esperienza comune. Esistono luoghi che rimangono, per loro stessa natura, ai confini della compagine umana, o almeno di quella dei vivi. Per certi versi un cimitero è come un grande libro pieno di storie. Ogni lapide ne racconta una, ogni volto inciso nel marmo vorrebbe forse ancora dirci qualcosa, farci sentire la sua voce. Molti dei nomi che scorriamo, sbalzati nel bronzo o incisi nel marmo, forse risuonano ancora nella mente di qualcuno. Altri sono stati probabilmente dimenticati, così come la data di nascita e morte di chi abita la tomba, confine ineluttabile tra il tempo terreno e l’eternità. Nei cimiteri il tempo dei vivi sembra fermarsi, per rispetto e pietà, ma anche questi luoghi, così silenziosi e immutabili in apparenza, vivono un continuo processo di rinnovamento. Sorge allora una domanda naturale e dolorosa: che fine fanno le tombe vecchie?

Il tempo delle concessioni
Molti pensano che una tomba, una volta costruita, rimanga “per sempre”. Non è così.
In realtà, lo spazio nei cimiteri è limitato e non può accogliere all’infinito nuove sepolture. Per questo motivo, la normativa prevede la rotazione degli spazi, un processo che consente di dare nuova destinazione alle aree dopo la scadenza della concessione. Non è un atto di dimenticanza, ma di equilibrio: un modo per garantire a ogni generazione la stessa dignità di sepoltura.
Le tombe dunque non sono eterne, almeno nella loro forma fisica. Ogni sepolcro, ogni loculo, ogni cappella familiare è regolato da una legge precisa, che stabilisce periodi di concessione cimiteriale. La durata varia a seconda dei Comuni, da 30 a 99 anni, secondo quanto indicato nei regolamenti locali. Scaduto quel termine, la tomba non è più considerata “concessa” alla famiglia, ma torna in disponibilità del Comune.
Nel pensiero cristiano, la morte non è una fine, ma un passaggio. Anche i cimiteri, in questo senso, riflettono l’idea di un cammino che continua. Le tombe non rappresentano solo la memoria del corpo, ma anche la speranza della risurrezione.
E quando una tomba viene chiusa, aperta o rinnovata, quel gesto amministrativo si trasforma in un momento di profonda riflessione sulla nostra fragilità e sulla misericordia di Dio. Nel libro del Qoelet, contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana, leggiamo che “c’è un tempo per nascere e un tempo per morire.” Potremmo aggiungere che c’è anche un tempo per riposare e un tempo per essere restituiti alla terra. Non è una profanazione, ma il naturale compimento del ciclo di vita umano. Il corpo, che un tempo era tempio dello Spirito, torna alla polvere da cui era stato tratto, mentre lo spirito risorge in Dio, e non esistono più scadenze, né concessioni, né distinzione tra vecchie e nuove tombe.

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Quando il periodo di concessione termina, comincia il delicato processo dell’estumulazione (per i loculi) o della riesumazione (per le sepolture a terra).
È un’operazione che unisce tecnica e rispetto, svolta sempre con un atteggiamento di pietà. Gli operatori aprono la tomba per verificare lo stato dei resti. Se il processo di decomposizione è completo, le ossa vengono raccolte con cura e sistemate in cassettine ossario, che poi trovano posto in un ossario comune o privato. Quando invece la decomposizione non è ancora completa, i resti vengono inumati nuovamente per un periodo supplementare. In ogni caso, la famiglia ha il diritto di essere informata, di essere presente, e, se lo desidera, di richiedere una nuova concessione.
L’ossario comune come luogo della comunione
L’ossario comune è uno spazio destinato alla conservazione collettiva dei resti ossei di più persone. Non riporta nomi né date, ma non per questo si tratta di un luogo di oblio. È invece un luogo molto speciale, dove ogni vita trova posto accanto all’altra, in un abbraccio che ricorda che davanti a Dio nessuno è dimenticato. Anche se a prima vista può sembrare spoglio, l’ossario comune è forse il più teologico tra i luoghi del cimitero. In esso si ricompone la comunione universale dei fedeli, quella che la Chiesa proclama ogni volta che afferma “credo la comunione dei santi”. Ogni resto umano lì riposto è un frammento di una storia d’amore, di sacrificio, di fede. È un “noi” che supera l’“io”.
Ricordiamo che nelle prime comunità cristiane i fedeli venivano sepolti nelle catacombe uno accanto all’altro, senza distinzione di rango. Allo stesso modo l’ossario moderno conserva la medesima idea di unione e uguaglianza davanti a Dio.
Le lapidi individuali possono sparire, ma la memoria spirituale resta intatta, perché Dio, come dice il Vangelo, “non è Dio dei morti, ma dei vivi”.

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Il valore della memoria familiare
Eppure molte famiglie, alla scadenza di una concessione, vivono un momento di smarrimento. Cosa fare? Rinnovare? Lasciare che la tomba venga riutilizzata?
Ogni scelta ha valore, se compiuta con rispetto e amore. Rinnovare la concessione significa custodire un luogo caro, alimento visibile di una memoria familiare. Affidare invece i resti all’ossario comune è un gesto di fede più ampio: un modo per restituire il corpo alla comunione del popolo di Dio, sapendo che l’amore non si misura in metri di marmo, ma nella preghiera e nel ricordo.
“Un cimitero è triste, ci ricorda i nostri che se ne sono andati, ci ricorda anche il futuro, la morte. Ma in questa tristezza, noi portiamo dei fiori come un segno di speranza nella resurrezione.” Sono parole pronunciate da Papa Francesco nel 2016, in occasione del giorno della commemorazione dei defunti. Il cimitero dovrebbe essere un luogo di speranza, non di malinconia. Ogni volta che ci fermiamo davanti a una tomba, antica o recente, compiamo un atto di fede: crediamo che l’amore sia più forte della morte, e che continui a legare cielo e terra, vivi e defunti.

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Il rinnovamento silenzioso dei cimiteri
Anche il paesaggio dei cimiteri si trasforma con il tempo. Accanto alle tombe in pietra, appaiono giardini, urne cinerarie, spazi comuni. Esistono nuove normative che regolano ciò che avviene ai corpi dopo la morte e che possono aiutarci a riscoprire il valore originario della sepoltura cristiana: la pace, la sobrietà, la speranza nella risurrezione. La cremazione, sempre più diffusa, e le nuove forme di commemorazione digitale, cambiano il modo in cui ricordiamo i defunti, ma rimane la necessità di un luogo fisico dove pregare, un punto nello spazio che renda visibile il legame tra storia e fede.
Tornando alla nostra domanda iniziale, che fine fanno le tombe vecchie, una tomba “vecchia” che scompare non interrompe il filo della memoria: lo rinnova, lo purifica, lo porta oltre. Forse allora, le tombe vecchie non “finiscono” in senso pieno. Semplicemente, vengono trasformate: il marmo che cade, il nome che si scolora, la croce che si inclina non sono segni di dimenticanza, ma di un continuo passaggio verso l’eternità.
Ogni pietra consumata dal tempo racconta la stessa verità che la liturgia proclama nel giorno dei Defunti: che la vita non è tolta, ma trasformata. E così, davanti a quelle tombe che un tempo custodivano nomi e ora custodiscono solo silenzio, possiamo pregare in pace. Perché nulla è veramente perduto agli occhi di Dio.

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