L’anello nuziale di Maria: la sua incredibile storia fino a Perugia

L’anello nuziale di Maria: la sua incredibile storia fino a Perugia

L’anello nuziale di Maria: storia di un amore eterno custodito a Perugia

Tra le pietre antiche della Cattedrale di San Lorenzo a Perugia, nel grembo verde e ricco di storia dell’Umbria, è custodito un piccolo anello che racchiude un Mistero immenso. Non è un gioiello qualunque, ma l’anello sacro che, secondo un’antica tradizione, lo sposo Giuseppe pose al dito della Vergine Maria nel giorno del loro sposalizio. Un pegno d’amore e obbedienza, un segno d’alleanza tra cielo e terra: il cosiddetto Sant’Anello di Perugia è molto più di una reliquia. È un anello antico, ma ancora vivo. Conserva nella sua pietra opaca la memoria di un gesto semplice e solenne: la promessa d’amore tra Giuseppe e Maria, custodita nel tempo come un segreto silenzioso.
Quel giorno, in un angolo nascosto del mondo, due mani si sfiorarono con timore e fiducia. E quando Giuseppe le porse l’anello, non fu solo il segno di un’unione umana, ma l’inizio di una storia in cui il divino si fece casa tra gli uomini.
L’anello, scolpito nel calcedonio, verde come i rami d’ulivo, non brillava come l’oro, ma portava la luce discreta della fedeltà. Quando Giuseppe Maria, uomo giusto e silenzioso, scelse la giovane Vergine di Nazaret, non fu solo un atto d’amore, ma un atto di fede. L’anello nuziale che le donò suggellava il più sacro degli sposalizi: un matrimonio voluto dalla Provvidenza, benedetto da Dio, destinato a ospitare nel proprio grembo il Figlio dell’Altissimo. Secondo una dolce leggenda, quando Maria comprese che il suo tempo terreno stava per concludersi, affidò questo anello a colui che Gesù stesso le aveva dato come figlio: Giovanni, l’apostolo prediletto.
In quel gesto, tanto materno quanto profetico, Maria non lasciava solo un ricordo del suo amore terreno, ma un segno tangibile del suo legame con l’umanità. Il Sant’Anello diventava così testimone di una famiglia celeste, di un’intimità custodita nel silenzio, tramandata come un seme nei cuori degli uomini.

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L’anello sacro è un cerchio, e come ogni cerchio non ha fine. È simbolo dell’amore eterno di Dio, del sì di Maria, della fedeltà silenziosa di Giuseppe. È promessa mantenuta, unione feconda, sacramento vivente.
È un ponte tra cielo e terra, tra passato e futuro, tra l’intimità di una giovane coppia e la salvezza dell’intera umanità. Per questo, chi lo guarda non vede solo un antico gioiello. Vede sé stesso, riflesso nell’amore di una Madre che non ha mai smesso di vegliare sui suoi figli.

Un viaggio millenario: dall’Oriente a Perugia

L’anello sacro non rimase sepolto nell’oblio. Come il Vangelo, esso viaggiò. Portato forse da mercanti cristiani, pellegrini o crociati, lasciò la Terra Santa per arrivare in Italia, attraversando le rotte della fede e dei miracoli. Ogni città che lo accolse lo fece suo, ma solo una lo avrebbe custodito per sempre.

Quello dell’anello nuziale di Maria è un viaggio sospeso tra sogno, mistero e grazia. Alla fine di luglio del 1473, un giovane frate di nome Vinterio, originario di Magonza, ma profondamente legato alla terra umbra, si trovava sul cammino verso la Porziuncola di Santa Maria degli Angeli, per partecipare alla solenne festa del Perdono. Nella sua sacca portava un gioiello in quarzo calcedonio, non uno qualunque, ma quel Sacro Anello nuziale della Vergine Maria che da secoli custodiva un destino più grande.

La leggenda narra che tutto ebbe inizio intorno all’anno Mille, quando un mercante ebreo di pietre preziose, afflitto da inquietudini profonde, donò l’anello all’orafo Ainerio di Chiusi. La Vergine apparve in sogno a quest’ultimo, implorandolo di custodire quell’oggetto con riverenza. Ma il cuore dell’uomo si raffreddò rapidamente e l’anello fu dimenticato nella sua cripta, fino a che un evento straordinario lo scosse: la visione del figlio defunto, che lo rimproverò per il gelo con cui aveva trattato quella reliquia. Solo allora Ainerio comprese: quell’anello non apparteneva a lui, ma al santuario della fede. Lo donò allora al vicino convento di Santa Mustiola, affinché fosse venerato da tutti.

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Fra Vinterio di Magonza conosceva bene le leggende che erano nate intorno a questa reliquia. Si diceva che chi l’avesse usata indebitamente fosse stato punito. Risentito verso gli abitanti di Chiusi, che lo avevano torturato per un furto che non aveva commesso, in una notte di tormento rubò il luccicante anello. Lo avvolse nella seta, lo nascose nella sua bisaccia, e partì a cavallo, sospinto dal rimorso e dal desiderio di tornare a casa. Ma la Provvidenza lo fermò inaspettatamente: una nebbia fitta lo avvolse sulle colline e lo spinse a fermarsi a Perugia. Qui, nel buio dell’alba, la sua mano tremante consegnò il gioiello all’amico Luca Delle Mine, perché lo portasse al Comune, affidandosi alla giustizia dei Priori. Il furto dell’anello nuziale di Maria si trasformò così in una donazione misteriosa, e il gioiello, tra devozione e stupore divenne il simbolo sacro della città umbra.

Mentre Chiusi si preparava all’ostensione dell’anello sacro, la scoperta sconvolgente: la reliquia era scomparsa! La notizia si diffuse come un incendio, raggiungendo presto le autorità di Perugia, dove l’anello era già stato accolto con stupore e venerazione.
Chi consegnò l’anello, Luca Delle Mine, fu ricompensato come si fa con chi ha servito qualcosa di più grande. Ricevette un dono concreto, un segno tangibile della gratitudine cittadina: un premio in denaro, una rendita per la famiglia, e un posto nella memoria della città.
Intanto, il colpevole era stato scoperto. Fra Vinterio non tentò fughe o menzogne: confessò tutto. Il gesto, disse, non era frutto di avidità, ma del rancore cresciuto nel cuore verso i suoi confratelli. Un gesto impulsivo, nato da un dolore umano, ma non per questo meno grave.
Il Papa venne informato del fatto. Concesse la sua benedizione e autorizzò che la reliquia fosse mostrata pubblicamente. Il 15 agosto, nella solennità dell’Assunzione, il popolo di Perugia si raccolse in preghiera per la prima ostensione: la città abbracciava quel dono celeste come un segno di predilezione.
Il processo al frate si svolse l’anno successivo, davanti a una commissione di autorità civili e religiose. La condanna fu inevitabile, ma il passaggio dell’anello alla città fu confermato come legittimo.
Custodito in un reliquiario rinforzato da quattordici chiavi divise tra le massime cariche civili e religiose dalla città, come le stazioni della Via Crucis, e una doppia cassa blindata, l’anello fu trasferito nel 1488 nella nuova Cattedrale di San Lorenzo. Per accoglierlo, fu creata una cappella dedicata, dove l’arte e la devozione si fusero, e dove ancora oggi è custodito: la Cappella dell’Anello o di San Giuseppe​.​

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La “Calata” del 30 luglio: quando Maria discende tra i suoi figli

Quello dell’apertura del reliquiario è un rito sacro: quando si avvicinano le chiavi, è come se il cielo si inchinasse alla terra.
Ogni anno, il 30 luglio, Perugia si trasfigura. Nella cattedrale si diffonde un silenzio carico d’attesa, rotto solo dal fruscio delle vesti e dal sussurro delle preghiere.
È il giorno della Calata. Dal cuore della cappella, l’anello viene lentamente calato fino all’altare, mentre gli occhi di centinaia di fedeli lo seguono con devozione.
In quel momento, tutto sembra rallentare. Il sacro si fa vicino, quasi a portata di mano. Come se Maria, dal suo trono celeste, si chinasse per sfiorare i suoi figli uno a uno.
Sotto il suo anello scorrono lacrime, speranze, segreti sussurrati. Spose che chiedono protezione, madri che implorano salvezza per i figli, uomini e donne che non hanno perso la fede.
L’anello nuziale di Maria brilla di nuovo. Non per la luce del calcedonio, ma per quella invisibile e incandescente della grazia.
Oggi come allora, il Sacro Anello custodito a Perugia continua a richiamare passi e preghiere da ogni parte del mondo. Non è solo una reliquia, ma una presenza silenziosa che accompagna la città nel ritmo dei giorni e delle stagioni.
Chi entra nella cappella non cerca solo bellezza o arte: cerca un frammento di senso, un respiro diverso. E spesso lo trova, tra le pieghe della luce filtrata dalle vetrate o nel gesto lento di chi si segna col capo chino.
Perché lì, in quel luogo preciso, qualcosa rimane. Non un’ombra del passato, ma un richiamo che ancora parla.