Le tre parabole della misericordia

Le tre parabole della misericordia

L’immagine di un Dio misericordioso ricorre sovente nell’Antico Testamento.

La Misericordia di Dio si rivolge a tutte le sue creature, anche da quelle che lo deludono. La giustizia divina, nella sua severità, è solo l’altra faccia di un amorevole attesa, della pazienza sconfinata di un Padre infinitamente buono che promette castighi e punizioni, ma che in fondo aspetta solo che chi ha sbagliato si penta e torni nel suo abbraccio.

L’evangelista Luca riprende il tema della Misericordia divina nel suo Vangelo con tre parabole che esprimono l’amore immenso di Dio per i suoi figli, il suo essere sempre pronto ad accoglierli, a perdonarli.

Prima Parabola: La pecora smarrita (Luca 15, 1-7)

4 Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5 Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. 7 Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.

Parabola la pecora smarrita
La Parabola della pecorella smarrita

Questa parabola è rivolta ai detrattori di Gesù, che criticavano le sue parole e il suo operato, in particolare la sua propensione verso i peccatori, gli impuri, ai quali dimostrava affetto e attenzioni particolari. Scribi e Farisei non comprendevano perché Egli accogliesse e rivolgesse la sua Parola a coloro i quali erano considerati dalla Legge dei peccatori, condannati dalla rigida e severa religione del tempo.

Il significato della parabola è semplice: il buon pastore non si preoccupa del suo gregge numeroso, se esso è al sicuro, ma affronterà fatica e pericoli per ritrovare l’unica pecora che si è perduta. Allo stesso modo Dio gioirà maggiormente per un peccatore redento e ritornato nella sua grazia, che per coloro i quali non l’hanno mai lasciata. Qualcuno potrebbe obiettare che il pastore non dovrebbe abbandonare le sue novantanove pecore per andare a cercarne una sola. Ma Dio è un pastore infinitamente sollecito verso tutte le sue pecorelle, non si dà pace finché non le sa tutte sane e al sicuro. Quando il buon pastore trova la pecorella smarrita non la picchia, non la bastona, ma la raccoglie amorevolmente sulle spalle e torna a casa tutto contento per dare la buona notizia agli amici. Come Dio si rallegra per ogni figlio perduto e ritrovato, così anche i capi della comunità, i Pastori del popolo, devono andare alla ricerca di chi si è smarrito e gioire quando riescono a ritrovarlo, a riportarlo in seno alla Chiesa. La pecora si perde nel deserto, un luogo irto di pericoli, dove il diavolo è solito mettere alla prova gli uomini, tentarli, far vacillare le loro certezze. Il solo modo per affrontare una minaccia simile è restare insieme, uniti. Il Pastore si accerta che tutte le altre pecore siano insieme, in modo da potersi proteggere a vicenda.

All’epoca di Gesù i pastori erano considerati quasi dei reietti della società, umili tra gli umili. Gesù si presenta come Buon Pastore, devoto al proprio gregge, amorevole verso le pecore, eppure coraggioso, forte, pronto ad affrontare qualsiasi rischio pur di salvarle e proteggerle. Nella gioia del Buon Pastore che ritrova la sua pecorella comprendiamo tutto lo spirito del Cristianesimo, l’Amore e la Misericordia incarnati da Gesù che possono sconfiggere il male, e ai quali ogni cristiano dovrebbe anelare come modello e obiettivo di vita.

Seconda Parabola: La moneta perduta (Luca 15, 1-10)

«O quale donna, se possiede dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza bene la casa e si mette a cercare attentamente, finché non la trova? Quando l’ha trovata, chiama le amiche e le vicine di casa e dice loro: “Fate festa con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta”. Così, vi dico, gli angeli di Dio fanno grande festa per un solo peccatore che si converte»”

Parabole della misericordia
La Parabola della dramma perduta

Anche questa parabola era indirizzata a chi non comprendeva la volontà di Gesù di dedicare tempo ed energie ai peccatori, a coloro i quali erano da tutti considerati impuri, perduti. La donna protagonista della parabola ha altre monete, eppure non esita a dedicarsi interamente alla ricerca dell’unica moneta perduta, accendendo i lumi, rivoltando tutta la casa finché non la trova. Tutto il resto perde di importanza, passa in secondo piano, perché non vi è nulla di più prezioso, nulla di più importante che ritrovare quella singola monetina smarrita. E quando infine la ritrova, allora è festa grande, con le amiche e le vicine.

Ogni moneta è preziosa in sé e per sé, non importa quante se ne posseggono: ciascuna è un tesoro inestimabile. Anche per Dio è così. Ciascun uomo è un gioiello prezioso, un tesoro indispensabile, e per salvarlo Egli è pronto a mettere da parte tutto il resto, non importa se si tratta di un ingrato, di un peccatore. Anzi, a maggior ragione si impegnerà a cercarlo e a riportarlo nella propria Casa, nel proprio Cuore!

Allo stesso modo gli altri uomini dovrebbero darsi da fare per ritrovare i loro fratelli perduti, non togliere loro importanza, perché solo singoli tra la moltitudine.

La Misericordia di Dio vigila su tutti noi costantemente. La perdita di un singolo uomo è per Lui una sconfitta immensa. Allora si attiva per ritrovarci, nudi, impauriti, soli, nelle tenebre, e quando ci ritrova, tutto ciò che desidera è fare festa, accoglierci come figli prediletti. È per ‘ritrovare’ gli uomini perduti che Gesù si è immolato sulla croce. L’amore e la misericordia di Dio trovano in questo atto il loro pieno compimento e glorificazione.

Terza Parabola: Il figliol prodigo (Luca 15, 11-32)

“E diceva: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: “Padre, dammi subito la parte di eredità che mi spetta”. Allora il padre divise le sostanze tra i due figli. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolti tutti i suoi beni, emigrò in una regione lontana e là spese tutti i suoi averi, vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe dato fondo a tutte le sue sostanze, in quel paese si diffuse una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Andò allora da uno degli abitanti di quel paese e si mise alle sue dipendenze. Quello lo mandò nei campi a pascolare i porci. Per la fame avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora, rientrando in se stesso, disse: “Tutti i dipendenti in casa di mio padre hanno cibo in abbondanza, io invece qui muoio di fame!

il figliol prodigo Rembrandt
Stampa in legno rappresentato Il Figliol Prodigo di Rembrandt

Ritornerò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e dinanzi a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi mercenari”. Si mise in cammino e ritornò da suo padre. Mentre era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione. Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e dinanzi a te. Non sono più degno di essere considerato tuo figlio”. Ma il padre ordinò ai servi: “Presto, portate qui la veste migliore e fategliela indossare; mettetegli l’ anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso e ammazzatelo. Facciamo festa con un banchetto, perché questo mio figlio era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Ora, il figlio maggiore si trovava nei campi. Al suo ritorno, quando fu vicino a casa, udì musica e danze. Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse successo. Il servo gli rispose: “È ritornato tuo fratello e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché ha riavuto suo figlio sano e salvo”. Egli si adirò e non voleva entrare in casa. Allora suo padre uscì per cercare di convincerlo. Ma egli rispose a suo padre: “Da tanti anni io ti servo e non ho mai disubbidito a un tuo comando. Eppure tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ora invece che torna a casa questo tuo figlio che ha dilapidato i tuoi beni con le meretrici, per lui tu hai fatto ammazzare il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio mio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è anche tuo; ma si doveva far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

La terza parabola della Misericordia ripropone il concetto di Dio che cerca e ritrova chi si è smarrito, riaccogliendolo nella sua Grazia, ma soprattutto esprime l’amore incommensurabile e intatto di Dio per il suo popolo. Sebbene Dio venga rappresentato in molte pagine del Vecchio e del Nuovo Testamento come un Padre Misericordioso, questa parabola ci offre sicuramente l’esempio più tangibile e essenziale della sua Misericordia. Il padre protagonista ama entrambi i suoi figli, quello giudizioso che lavora e non lo abbandona, e quello scapestrato che pretende la propria eredità e la dilapida in vizi e divertimenti.

Parabole della misericordia
La Parabola del figliol prodigo

I due figli, così diversi tra loro, rappresentano i giusti e i peccatori. Agli occhi del padre, nel suo cuore, essi hanno il medesimo valore. Anzi, il figlio che ha peccato, che si è perduto, ha un valore quasi maggiore, e il suo ritorno è una festa incommensurabile. Ma non esistono preferenze, non esistono rivalità: siamo tutti uguali agli occhi di Dio Padre, che ci ama allo stesso modo, nonostante i nostri limiti, nonostante i nostri errori. Il figlio maggiore, che lavora ogni giorno, non è meno perduto del fratello minore, perché il suo cuore si è indurito, la sua capacità di provare amore si è inaridita, tanto da portarlo a provare risentimento quando vede suo padre accogliere con gioia e amore il fratello.

È questo il rischio che corriamo anche noi, quando crediamo di essere giusti, e ci permettiamo di giudicare gli altri. Ci ergiamo al ruolo di giudici e perdiamo la capacità di perdonare, e ci meravigliamo se Dio agisce diversamente. Vivere rispettando la legge, attenendosi alle regole, è giusto, ma non è tutto. Il Diavolo anzi può ingannarci, facendoci credere che il nostro essere ligi al dovere sia il modo giusto di essere cristiani. Non è così. L’Amore e il Perdono dovrebbero essere le regole più importanti, quelle in nome delle quali è doveroso trascendere qualsiasi altra regola, qualsiasi altra legge. Gesù è morto per noi compiendo il più grande gesto d’amore e il più solenne atto di giustizia concepibile. Dobbiamo imparare a essere misericordiosi e a perdonare. Questa è la lezione più importante.