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La Storia di Don Bosco

La Storia di Don Bosco

Tra tutti i santi e beati venerati dalla chiesa cattolica, Don Bosco occupa un posto davvero speciale. Fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice egli creò un nuovo approccio educativo destinato a cambiare in modo radicale il destino di tanti bambini e giovani. Scopriamo come.

Giovanni Melchiorre Bosco, meglio noto come Don Bosco, o San Giovanni Bosco, sapeva fin da bambino di essere destinato a raccogliere intorno a sé e aiutare tanti ragazzi in difficoltà. Forse dal principio non poteva comprendere come. Ma raccontava di un sogno che fece quando aveva appena nove anni, in cui si vedeva circondato da bambini turbolenti, che ridevano e bestemmiavano senza ritegno. Rabbioso per quelle bestemmie, lui li affrontava, azzuffandosi con i più aggressivi, finché non apparve un uomo rivestito da un sontuoso manto bianco e col volto splendente. Alla domanda del piccolo Giovanni Bosco riguardo a chi egli fosse, lo sconosciuto rispose: “Io sono il Figlio di Colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno. Fu lui a rivelare al bambino che un giorno avrebbe dovuto prendersi cura degli altri: “Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici.” Nel medesimo sogno a Don Bosco apparve anche una donna maestosa e bellissima, abbigliata con una veste che brillava come una stella. Intorno a lei molti animali, che Ella gli indicò dicendo: “Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umile, forte e robusto e ciò che adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli.” E man mano che lei parlava quegli animali diventavano tutti agnelli mansueti.

A dispetto di questo sogno profetico, poco nella vita del piccolo Giovanni Bosco lasciava presagire quale sarebbe stato il suo destino, come vedremo dalla sua storia. Eppure egli fu fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice ed è considerato uno dei santi sociali torinesi.

Già quando era in seminario il suo moto, scritto su un cartello che teneva appeso nella propria stanza, era “Da mihi animas, coetera tolle”, Dammi le anime, prenditi tutto il resto, una frase ispirata al Vangelo di Giovanni: “Poi il re di Sòdoma disse ad Abram: «Dammi le persone; i beni prendili per te»” (Gn 21)

Il messaggio umano e spirituale si può riassumere in tre parole: ragione, religione, amorevolezza. Queste tre doti erano anche alla base del suo metodo educativo preventivo, grazie al quale innumerevoli bambini e ragazzi vennero strappati da condizioni di vita miserabili e poterono trovare la propria strada nel mondo.

Papa Pio XI lo canonizzò nel 1934 e Giovanni Paolo II lo nominò padre e maestro della gioventù nel 1988.
In suo onore, per celebrare i duecento anni della sua nascita, il 16 agosto 2015, venne istituito un pellegrinaggio a Roma e in tutte le chiese salesiane d’Italia e del mondo si tennero grandi celebrazioni. Cinquemila giovani provenienti da tutto il mondo si sono riuniti nei luoghi in cui il Santo visse per festeggiare quello che è conosciuto come SYM DON BOSCO. Per questa sua straordinaria vicinanza ai giovani non è raro trovare in una chiesa o una casa, una statua di Don Bosco, spesso accompagnato da un fanciullo.

Chi era questo santo che per tutto la vita seppe farsi amare dai giovani, al punto da suscitare anche dopo la sua morte tanto affetto in tutti loro?

Storia di Don Bosco

Giovanni Bosco nacque in una famiglia di contadini nella frazione collinare I Becchi di Castelnuovo d’Asti, che oggi si chiama Castelnuovo Don Bosco. Sua padre Francesco morì di polmonite quando Giovani aveva solo due anni, e lui crebbe con la mamma, Margherita Occhiena, il fratello Giuseppe, il fratellastro Antonio e la nonna paterna. Erano anni difficili, in cui imperversavano fame e epidemie, ma Margherita crebbe i suoi figli nel migliore dei modi. Era una donna piena di dignità e dalla morale incrollabile, che sapeva riconoscere i veri valori, tanto da dire al figlio, una volta divenuto uomo e prete: “Se per sventura diventerai ricco, non metterò mai più piede a casa tua.”
Anche grazie a lei Giovanni sentì presto il desiderio di dedicare la propria vita a Dio, ma non era facile per la sua famiglia garantirgli gli studi necessari per poter entrare in seminario. Tutti diedero il proprio contributo, come la zia Marianna, sorella della madre, che convinse Don Lacqua, il cappellano che gestiva le lezioni della scuola elementare presso la parrocchia di Capriglio, a prendere in classe Giovanni, anche se veniva da un altro paese e per questo veniva maltrattato dagli altri ragazzi. Fu proprio per sfuggire ai maltrattamenti di questi ‘bulli’ che Giovanni imparò a fare piccoli giochi di prestigio e perfino acrobazie, imitando i saltimbanchi che di quando in quando passavano per il paese. Era così bravo che gli altri ragazzini si fermavano incantati a guardarlo, e lui ne approfittava convincendoli, tra una magia e l’altra, a recitare il Rosario, o ripeteva loro le letture del Vangelo che aveva udito quel giorno e che riusciva a rammentare bene grazie alla sua memoria prodigiosa.

Sapeva farsi amare, Giovanni Bosco. Scorrendo la sua storia è sorprendente scoprire quante persone siano rimaste incantate dalla sua intelligenza e dai suoi modi, tanto da sentirsi spinte ad aiutarlo. Come Luigi e Dorotea Moglia, presso i quali lavorò come garzone due anni, quando, per proteggerlo dal malanimo del fratellastro Antonio, sua madre lo mandò via di casa. I due coniugi lo accolsero tra i propri lavoratori.
Don Giovanni Calosso, sacerdote settantenne cappellano di Morialdo, che accolse in casa il bambino, gli insegnò il latino e alla sua morte volle lasciargli tutti i propri averi perché potesse studiare. Giovanni rifiutò tuttavia quell’eredità.
O ancora Giovanni Roberto, sarto e musicista di Castelnuovo, che gli insegnò il suo mestiere. Infatti, oltre che i giochi di prestigio, Giovanni imparò vari mestieri che gli permisero di mantenersi durante gli studi. Fu sarto, appunto, ma anche barista, falegname, calzolaio, fabbro nella fucina di Evasio Savio, garzone, cameriere, addetto alla stalla. Tutte queste conoscenze lo avrebbero aiutato un giorno a far intraprendere ai suoi giovani protetti diverse professioni.

Nel marzo del 1834, terminati gli studi di Umanità (discipline umanistiche che, insieme a Retorica costituivano le basi degli studi dell’epoca) in un primo tempo pensò di entrare in un convento di Francescani, ma dietro consiglio di Don Giuseppe Cafasso, che sarebbe divenuto un altro dei santi sociali torinesi, scelse invece di entrare nel seminario di Chieri. Era il 30 ottobre 1835. Qui per cinque anni avrebbe studiato Teologia. Si fece subito un amico, Luigi Comollo, un ragazzo fisicamente debole, che veniva preso in giro dagli altri ragazzi, ma dalla grande forza spirituale. Sfortunatamente Luigi morì a soli 22 anni, e subito dopo la sua morte apparve a Giovanni e agli altri ragazzi del dormitorio, sotto forma di luce splendente. Sembra che sia grazie a lui che Giovanni abbia deciso di “mettere la salvezza eterna al di sopra di tutto, a considerarla come l’unica cosa veramente importante”.

Il Sacerdozio di Don Bosco

Ordinato sacerdote nel giugno 1841 nella Cappella dell’Arcivescovado di Torino, rifiutò di lavorare come istitutore o cappellano, e sempre seguendo il consiglio di Don Giuseppe Cafasso, entrò nel Convitto di Torino, dove un gruppo di giovani sacerdoti venivano preparati dal teologo Luigi Guala.

Fu a Torino che Don Bosco incontrò la sua vera vocazione.

Camminando per le strade di quella grande città poté vedere coi propri occhi in che condizioni erano costretti a vivere molti bambini e ragazzini disagiati. Provenienti da famiglie in difficoltà, orfani, costretti a delinquere fin da piccoli, o a sottoporsi a lavori inumani, finivano spesso in mano ad adulti senza scrupoli che li impiegavano in fabbriche o nella criminalità, condannandoli a finire presto in prigione o a una morte prematura. Fu a loro che Don Bosco si rivolse, attirandoli, come un tempo aveva attirato i monelli con i suoi giochi di prestigio, e conquistando la loro fiducia. Lui e Don Cafasso si recavano anche nelle prigioni, reclutando piccoli delinquenti e invitandoli a raggiungerli nella chiesa di San Francesco di Sales in Valdocco, una volta scontata la pena.

Furono molti i ragazzini che seguirono Don Bosco, e molti portarono con sé amici, fratellini, un esercito di piccoli sfortunati ai quali nessuno aveva mai teso la mano. Insieme si riunirono in quello che sarebbe diventato l’Oratorio di Don Bosco, presso la casa dell’oratorio San Francesco di Sales.

Ma Don Bosco non si fermò ad aiutare i bambini bisognosi con cibo, educazione e affetto. S’impegnò per garantire maggiori diritti a quelli che lavoravano, compiendo un’opera degna di un sindacalista agguerrito. Grazie a lui iniziarono a esserci contratti di lavoro per i minorenni, tutele sanitarie, perfino una mutua salesiana. I minori in carcere potevano uscire per qualche ora ogni giorno per imparare un lavoro, in modo da non ricadere nel crimine dopo la liberazione.

Nel 1859, anche grazie all’aiuto i amici influenti, Don Bosco riesce a creare nel rione Valdocco la Società Salesiana, la costituzione della quale verrà approvata dalla Santa Sede nel 1874. Fin dalle origini i salesiani dedicheranno la loro vita e i loro sforzi all’istruzione e all’educazione dei giovani, attraverso scuole, oratori, centri di formazione agricola e professionale.
Il santuario di Maria Ausiliatrice, fatto costruire da Don Bosco nel 1868 accanto alla chiesa di San Francesco di Sales divenne il centro della loro opera. In onore di Maria Ausiliatrice Don Bosco fondò anche l’Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice (ADMA), il Gruppo della famiglia Salesiana, fondata per promuovere la venerazione del Santissimo Sacramento e di Maria Ausiliatrice.

Ancora, nella sua opera di apostolato Don Bosco non volle fermarsi all’Italia. A partire dal 1875 organizzò diverse spedizioni in Argentina per portare aiuto anche ai giovani che vivevano laggiù, soprattutto figli di emigranti italiani.

Alla sua morte, il 31 gennaio 1888, aveva 72 anni. Il suo corpo è custodito in un’urna nel Santuario di Maria Ausiliatrice.

La devozione a Maria Ausiliatrice

Il 24 maggio si festeggia Maria Ausiliatrice, la Madonna dell’aiuto, già venerata per la vittoria cristiana contro i turchi a Lepanto (1571), e alla quale Papa Pio VII aveva rivolto il proprio ringraziamento per la liberazione dalla prigionia napoleonica nel 1815.

Madonna Ausiliatrice

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Don Bosco era particolarmente legato a questa festività. Alla Madonna Ausiliatrice egli aveva in un certo senso dedicato fin dall’inizio la sua opera di educatore e riformatore. A lei volle dedicare la basilica di Maria Ausiliatrice, eretta in soli tre anni, e a lei dedicò la maggior parte degli istituti religiosi da lui fondati in tutto il mondo, dalla Congregazione di S. Francesco di Sales, alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ai Cooperatori Salesiani. Per questo la Madonna Ausiliatrice è oggi nota anche come la ‘Madonna di Don Bosco’.

Uno splendido quadro custodito nel Santuario che porta il suo nome a Torino la raffigura in trionfo, sospesa su una nuvola, con lo scettro in mano e Gesù Bambino in braccio, attorniata da Apostoli ed Evangelisti, con santuario voluto per lei dal Santo sullo sfondo.

Di lei Don Bosco diceva: “In Maria ho riposto tutta la mia fiducia. La Madonna non lascia mai le cose a metà.” Invitava i suoi devoti a invocarla con una particolare giaculatoria, con la quale garantiva si potessero ottenere grazie speciali. Lui stesso si rivolgeva sovente a Maria Ausiliatrice, soprattutto quando le cose diventavano più difficili.
Del resto, chi meglio della Madre di tutte le madri può accogliere le suppliche dei suoi figli e portarle all’orecchio di Dio, invocando la sua benevolenza?