La storia e le tecniche di produzione del Santino

La storia e le tecniche di produzione del Santino

La storia e le tecniche di produzione del Santino

Con il termine Santino si definisce un piccolo cartoncino rettangolare, che su un lato riproduce la figura incisa o stampata di un santo o altro soggetto sacro, e sull’altro una preghiera o altro testo agiografico relativo al santo raffigurato. Ci sono anche Santini che celebrano una particolare sacramento o festività, come i Santini stampati e distribuiti in occasione della Prima Comunione dei bambini.

Le origini del Santino

Il Santino ha rivestito fin dalle sue origini, intorno al XV secolo, un’importanza fondamentale per la diffusione della religione cristiana. Dobbiamo tener conto del fatto che nei secoli passati la maggior parte delle persone non erano in grado di leggere e scrivere. Lo studio e l’accesso a libri, codici e testi sacri era riservato a un élite, mentre la stragrande maggioranza dei fedeli non poteva consultarli in prima persona. Questa mancanza veniva in parte supplita dalla catechesi, dalle omelie durante la messa, da un’evangelizzazione verbale, che tramandava passi ed episodi della Bibbia a voce e diffondeva i principi spirituali e filosofici del cristianesimo.

Un altro strumento potente di diffusione sono state fin dal principio le immagini.

Dal momento che il Santino è, per sua stessa definizione, stampato, dobbiamo attendere l’evento della stampa, appunto, per poterne parlare. In realtà il cammino che conduce a questo affascinante e particolare oggetto di devozione è lungo e va a toccare aspetti molto più illustri e alti dell’arte religiosa.

Le miniature

Cominciamo parlando del lavoro dei miniaturisti, che collaboravano con gli amanuensi alla copiatura degli antichi testi sacri e dei codici miniati. Il loro apporto era squisitamente artistico, in quanto dovevano abbellire i testi con capolettera che contenessero raffigurazioni di Gesù, della Madonna o dei Santi.

Se in un primo tempo questi capolettera furono considerati un semplice elemento decorativo, verso il XV secolo essi assunsero un valore a sé. Divennero via via più ricchi e complessi, trasformandosi in vere e proprie scene che raccontavano episodi evangelici, a volte indipendenti dal testo che accompagnavano, senza bisogno di parole scritte.

Poiché questi codici miniati venivano utilizzati quotidianamente nell’ambito liturgico, accadeva che essi si usurassero e si deteriorassero fino a risultare inutilizzabili. Allora le miniature venivano ritagliate e inserite in altri codici, o, più spesso, appese in casa o portate in giro, come oggetto di devozione tascabile.

È così che prende forma l’idea di un’immagine sacra che si possa trasportare con facilità, che chiunque possa tenere addosso. E poiché non era così facile possedere un ritaglio salvato da un codice miniato, iniziò a esserci richiesta di miniature realizzate appositamente a questo scopo. Artisti e artigiani si diedero da fare per soddisfare questo nuovo e sempre più esigente mercato. Da qui all’evoluzione successiva, ovvero alla stampa, il passo è breve. Ma non così tanto.

La xilografia

La prima forma di riproduzione stampata di Santini risale alla metà del 1400 e coincide con la diffusione della cosiddetta xilografia. La xilografia è un’antichissima tecnica di stampa, utilizzata fin dal IV secolo in Egitto per decorare i tessuti. Su una tavoletta di legno veniva incisa un’immagine che successivamente veniva inchiostrata con un rullo e quindi impressa su un supporto di carta o pergamena. Le linee che componevano l’immagine venivano incise nel legno con lame affilate e bulini. Il legno veniva scavato in modo da rendere le linee in rilievo. Verso la fine del Cinquecento a questo tipo di lavorazione si affiancherà la xilografia su lastre di rame ugualmente incise.

Queste tavolette, dette matrici, venivano utilizzate in larga scala per stampare immagini sacre, in particolare legate alla storia di Maria, Gesù e dei Santi. Queste immagini venivano poi vendute a poco prezzo e in questo modo potevano entrare anche nelle case più umili come oggetti di devozione. Venivano usati anche come oggetti scaramantici per proteggere dai furti i bauli da viaggio, o nelle botteghe e nelle stalle. Le prime xilografie furono realizzate nei monasteri, ma ben presto la produzione e la vendita delle incisioni si diffuse nei villaggi e nelle città e nacquero botteghe che si dedicavano esclusivamente a questo commercio. Col tempo le tecniche si affinarono e iniziarono a comparire xilografie a colori, che venivano prima stampate e poi colorate a mano.

Anche dopo che metodi di stampa più moderni ebbero preso piede, la xilografia di immagini sacre continuò a essere praticata come forma d’arte a sé stante. Ancora oggi vengono prodotte, utilizzando, al posto del legno, lastre in linoleum o altri materiali meno deperibili. Tra le più antiche e preziose xilografie di argomento sacro ricordiamo la Madonna di Bruxelles (1418) e la Madonna del Fuoco conservata nel Duomo di Forlì (1429).

Incisione a bulino

In Germania e nei Paesi Bassi, intorno al XV secolo, si affermò anche l’incisione su rame, come accennavamo. In questo caso la lastra di rame veniva cesellata con un bulino, un piccolo scalpello da metallo, e lame taglienti. I vantaggi di questa scelta erano soprattutto legati alla deperibilità del legno, che rendeva le matrici inutilizzabili dopo pochi utilizzi, mentre il rame, non assorbendo l’umidità dell’inchiostro e non deformandosi, poteva essere utilizzato molto più a lungo.

A differenza della xilografia su legno, inoltre, l’incisione a bulino sul rame produceva un’impronta a incavo, in cui l’inchiostro penetrava, anziché a rilievo.

L’acquaforte

Un’ulteriore tecnica che si diffuse all’epoca fu l’acquaforte, che conobbe la sua maggior fortuna ad Amburgo e soprattutto ad Anversa, nelle Fiandre, capitale artistica e commerciale dell’impero spagnolo. Fu l’Ordine dei Gesuiti a promuovere la diffusione delle immaginette sacre realizzate con questa tecnica. Successivamente Parigi divenne la prima città in Europa per la produzione di immagini sacre di grande bellezza e raffinatezza prodotte ad acquaforte. I laboratori grafici della Rue Saint-Jacques, nel Quartiere latino, sperimentarono tecniche via via più ardite e accurate. Anche in questo caso si lavorava su lastre di metallo (zinco o rame, di solito), che venivano corrose con dell’acido. La lastra veniva pulita, sgrassata con procedimenti chimici, cosparsa di una soluzione coprente resistente all’acido sulla quale veniva tracciata a mano libera l’immagine che si voleva riprodurre. In questo modo venivano scoperte solo le linee che si volevano imprimere sulla carta. Infatti, quando nella fase successiva la lastra veniva immersa nell’acido, quest’ultimo corrodeva il metallo solo dove non era protetto.  Fatto ciò, la lastra veniva lavata, asciugata, cosparsa di inchiostro grasso e posta in un torchio calcografico, dove essa imprimeva il suo calco sulla carta. Questo tipo di lavorazione consentiva una maggior cura dei dettagli e le sfumature, e quindi illustrazioni più raffinate e ricche. In particolare, l’incisore Jacques Caillot riusciva a conferire alle sue acqueforti di argomento sacro una profondità e un realismo tale che ancora oggi esse sono rinomate.

I canivet

Fu sempre nell’ambito dei monasteri, e all’epoca della Controrifora, che si affermò la tecnica del Canivet. I fautori del movimento vedevano come una necessità il fatto di tener impegnate le monache in pratiche di lavoro manuale comune. Il ricamo e il decoro di paramenti sacri era caldamente incoraggiato, così come quello di corredi destinati ad acquirenti privati, che col loro denaro contribuivano al sostentamento del monastero.

I Santini realizzati con la tecnica del Canivet, o Santini manufatti, erano supporti di carta o pergamena che riportavano al centro un ovale su cui veniva dipinta una raffigurazione sacra.
Successivamente l’ovale veniva circondato da un delicatissimo intaglio ottenuto con un canif, una lama sottilissima. L’opera veniva poi completata con un cartiglio e le colorature. L’effetto era quello di un merletto ornamentale, che riprendeva forme architettoniche, immagini sacre, decori floreali e animali. Contemporaneamente ai Canivets, sempre nell’ambito monacale, suore ed educande iniziarono ad arricchire le proprie opere con stoffa, perline, fili d’oro o d’argento, nastri, e tutto ciò che potevano suggerire loro la fantasia e la creatività. Il risultato erano dei santini-collage, molto elaborati e di grande impatto.

Queste lavorazioni si diffusero ben presto anche fuori dai monasteri. Nel XVI secolo molti artigiani iniziarono a intagliare le incisioni e a porle su dei supporti di stoffa. I Santini realizzati con la tecnica del Canivet venivano usati, oltre che come oggetti devozionali, anche per celebrare ricorrenze e allietare eventi.

La produzione in serie dei Santini

Verso la fine del 1700 i santini iniziarono a essere usati per ricordare i momenti più preziosi della vita del fedele, come il Battesimo, la Prima Comunione, la Cresima, il Matrimonio, la Morte. Molte case editrici iniziarono a dedicarsi esclusivamente a questa produzione su scala industriale producendo in serie migliaia di santini di ogni tipo e per ogni occasione.

Vista l’impressionante diffusione di immagini sacre prodotte e vendute in tutta Europa con la xilografia, l’acquaforte e le altre tecniche finora elencate, la Chiesa decise di intervenire, imponendo un’approvazione ufficiale che andava stampata sul retro dell’immagine stessa. Tale consenso è la parola latina Imprimatur.

La litografia

La litografia fu inventata nel 1796. È una tecnica di stampa che sfrutta la proprietà delle pietre calcaree di assorbire grassi o di rigettarli quando vengono emulsionate con soluzioni acido-gommose.

Questa tecnica conobbe subito un ulteriore sviluppo nella cromolitografia, ottenuta utilizzando diverse pietre calcaree bagnate con inchiostro di vario colore fissato con la resina e acqua miscelata con gomma arabica. Il torchio permetteva di premere le pietre sulla carta e di imprimervi l’immagine colorata.

Santini Liberty e Santini merlettati

La cromolitografia venne riproposta nell’ambito dell’Art Déco e del Liberty, con la stampa di santini decorati con ghirlande, simboli, nastri, fiori, e arricchiti di preghiere e immagini in rilievo.

Contemporaneamente a Praga, divenuta la nuova capitale europea per la produzione dei santini, si affermarono le tecniche a rilievo e a punzone, che permettevano di applicare sul santino elementi decorativi in oro o colore, come cornici floreali dalle tinte vivide e brillanti. Il tutto veniva poi ripassato con una verniciatura trasparente che rendeva i colori e i dettagli ancora più vivaci.

Prendendo spunto dai Canivet negli anni ’30 conobbero un’incredibile diffusione anche i Santini di Pizzo o Merlettati. Anche in questo caso erano composti da un’icona circondata da una merlettatura elaborata. Grazie alle nuove tecniche di stampa come la Pressa a Punzone fu possibile produrre migliaia di esemplari di questo genere.

Oggi

In tempi recenti, è nato il fenomeno dei collezionisti di santini, che nel giro di pochi decenni ha assunto proporzioni notevoli. Questo interesse per i santini artistici ha portato anche a una rinnovata cura per la produzione moderna, se non altro nella scelta dei soggetti.